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Cesare Riboldi

 

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Cesare Riboldi e Luigi Mattavelli: sognando la libertà

Cesare Riboldi è mio zio, il fratello di mio papà.
Il cippo a metà del viale Assunta si trova proprio nel luogo dove Cesare ha trovato la morte, il 24 aprile del 1945, non ancora ventunenne, insieme con il suo amico Luigi Mattavelli. Esattamente 10 anni prima che io nascessi. Quindi io e lui non ci siamo mai conosciuti.
Cesare nasce alla cascina Malachina, Cassina de’ Pecchi il 25 giugno 1924. Ha un fratello più piccolo, Giuseppe, detto Peppino (che diventerà il mio papà!). La mamma, Agnese Nava, è cernuschese.
Si vive in cascina, una vita semplice, da contadini. Cesare rimane orfano di padre nel 1933. Agnese decide allora di tornare con i due figli a Cernusco, dove ha fratelli e sorelle e si stabilisce in via Monza. È dura vivere in quegli anni trenta così difficili, soprattutto se sei una donna sola con due figli. Ma Agnese è forte e i suoi figli sono bravi ragazzi, iniziano a lavorare subito dopo la quinta elementare, fanno un po’ di tutto e si tira avanti. Cesare ha 16 anni quando inizia la guerra. Cresce vedendo nel suo paese personaggi con camicie nere, violenti e prepotenti. Sente di persone che sono state licenziate perché si sono rifiutate di iscriversi al partito fascista. Lo zio, lavoratore della Marelli, gli parla di scioperi finiti a manganellate, con arresti e licenziamenti.  Sa che un amico, in via Bourdillon, curt del Carlutin, che si è azzardato a cantare l’inizio di Bandiera rossa, è stato picchiato e costretto a bere olio di ricino. Si è abituato alle sirene che avvertono dell’imminente bombardamento, alla vista degli sfollati che hanno perso tutto.
Nel giugno del 1943, Cesare, appena compiuti i 19 anni, viene chiamato alle armi e parte per Ravenna. Ma quell’estate succedono tante cose in Italia. Mussolini viene arrestato, sostituito da Badoglio che l’8 settembre firma l’armistizio con gli alleati, «EVVIVA, la guerra è finita!» Tutti festeggiano, anche nei cortili e nelle piazze di Cernusco, ma… non è così! Quasi subito arrivano le armate tedesche che occupano il Nord Italia, nasce la Repubblica Sociale e i fascisti, i “repubblichini” si ringalluzziscono.
Cesare torna a casa. Ma durante i mesi nell’esercito ha ascoltato tante persone, ha capito che si può fare qualcosa contro l’arroganza del potere, che quella guerra lui non l’ha voluta, e ha un’idea in testa: mettersi in contatto con quelle persone che da un po’ di tempo se ne stanno nascoste in montagna o in pianura nascosti nelle cascine della campagna cernuschese. Persone che non vogliono la guerra, non vogliono i fascisti, non vogliono i tedeschi!!!
E così Cesare entra a fare parte della Resistenza. Lui non sa cosa sia vivere in democrazia, perché quando è nato, nel 1924, già l’Italia era stata fascistizzata. Proprio nel mese della sua nascita, il giugno del 1924, Matteotti viene assassinato dai fascisti, perché in Parlamento ha avuto il coraggio di denunciare i pestaggi e i brogli durante le elezioni manipolate da Mussolini e soci.
Cesare ha solo un’idea di democrazia, ma è un sogno bellissimo, importante e necessario e lui non ha paura di fare cose molto pericolose per perseguire questo sogno. Cesare e Luigi Mattavelli fanno parte dell’11a Brigata Matteotti. Sono i più giovani, ma anche i loro capi “Dino” (Erasmo Tosi) e “Ivo” (Vittorio Galeone) hanno pochi anni più di loro. Portano ordini alle varie unità dislocate in zona: Bussero, Carugate, Pessano, Pioltello. Partecipano a diverse azioni partigiane con il loro gruppo. Sabotaggi, volantinaggi, approvvigionamenti di armi, appostamenti notturni per spiare le mosse dei tedeschi.
Ivo è coraggioso, a volte temerario e spericolato. Cesare, anzi Cesarino come lo chiama lui, lo accompagna spesso nelle sue imprese. Cesare dorme spesso in cascina, a casa potrebbero venire a cercarlo e lui non vuole mettere in pericolo i suoi cari. Ma la mamma, Agnese, ospita in casa sua per lungo tempo proprio Ivo, che è ferito e ricercato («La signora Agnese Nava madre di Cesarino diventò per me una seconda mamma» ricorderà lo stesso Ivo) Lo fa rischiando anche la sua vita, rischiando di perdere tutto. I tedeschi sono famosi per le loro rappresaglie.
Ed eccoci al 24 aprile. Gli Alleati si stanno avvicinando a Milano e finalmente arriva ai capi delle brigate partigiane l’ordine di prepararsi, di procurarsi il maggior numero di uomini e armi possibile, perché il giorno dopo è prevista l’entrata in città. Ivo ordina a Cesare e a Luigi di fare il giro di tutti i distaccamenti della zona avvisando di tenersi pronti.
Siamo al tramonto del 24 aprile, sono passate da poco le 18, Cesare e Luigi stanno percorrendo il viale Assunta e sono stanchi, perché già sono stati a Carugate e Pessano. Stanno tornando alla cascina Arzona di Pioltello, dove incontreranno ancora Ivo e gli altri. Sono emozionati e felici. Felici come si può esserlo a 20 anni con tutta una vita davanti, una vita che da lì a poche ore sarà all’insegna di una libertà che non hanno mai conosciuto, ma per cui hanno lottato con tutte le forze e con tutto il cuore.
Ma ecco… appare lui, il maresciallo delle Brigate Nere, un fascista conosciuto in paese. Questa persona, al contrario di Luigi e Cesare, è piena di rabbia, di paura, sente arrivare la fine, sa che succederà presto qualcosa…
Cesare e Luigi si guardano. Il maresciallo è armato, ma loro sono in due. Gli si avvicinano, lo disarmano per renderlo inoffensivo… una delle consegne ricevute è proprio quella di procurarsi armi in tutti i modi possibili. Cesare e Luigi non hanno pensieri di morte, vogliono solo portargli via le armi. Poi proseguono il loro cammino, lasciandolo andare.
Ma lui, il maresciallo, lui sì vuole la morte, ha un’arma nascosta, che Luigi e Cesare, un po’ ingenuamente non hanno trovato, si gira e spara alcuni colpi. Spara per uccidere e infatti Cesare muore subito, colpito in più parti del corpo. Luigi sopravvive, si trascina alla cascina Lenzuoletta, è ferito gravemente al torace. Muore dopo due giorni in ospedale. Troppo gravi le ferite riportate!
E così, mentre i cernuschesi il 26 aprile festeggiano la liberazione e la resa dei tedeschi anche nel nostro paese, la famiglia di Cesare, quella che sarà la mia famiglia, piange al suo funerale.
Tante volte ho ripensato a lui, steso per terra in quel punto del viale Assunta. È un’immagine dolorosa e allora, per allontanarla, penso ancora alla gioia di quelle sue ultime ore intense. All’emozione meravigliosa che hanno provato Cesare e Luigi quel lontano 24 aprile, all’attesa di un mondo migliore, al sogno che si stava avverando e che non hanno potuto vedere.
Cesare e Luigi, con il loro sacrificio, ci insegnano che vale sempre la pena di lottare per qualcosa di importante in cui si crede. Quel giorno non hanno voluto la morte, non c’era odio dentro di loro, solo speranza.
Sono sicura che se fossero qui adesso con noi, vorrebbero la pace, la libertà, il rispetto di ogni persona, e lotterebbero contro tutti i muri e le ingiustizie che persistono anche oggi, nonostante questa grande lezione della Storia che è stata la Resistenza.
Marina Riboldi

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