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L’inizio della lotta

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la dissoluzione dell’esercito italiano, anche nei principali Comuni della Martesana cominciarono a formarsi i primi nuclei della resistenza armata: militari sbandati che fortunosamente erano riusciti a tornare a casa, ai quali si aggiunsero via via gli antifascisti locali (operai, studenti, professionisti).

 

Le riunioni clandestine si tenevano presso cascinotti, cascine, cortili e osterie. Ad esempio a Cavenago avvenivano presso il cascinotto di Mario Fumagalli, la trattoria di Mario Uberti e l’osteria  “Isola Vittoria”; a Cambiago presso la corte “del prestin”; a Vimercate presso la località  “montagnetta” e il cascinotto di Carlo Vimercati; a Trezzo d’Adda presso il cascinotto di Antonio Perego; a Caponago presso il cascinotto di Giacomo Radaelli; a Gorgonzola presso corte Chiosi, le cascine Riva Ronchetta e Nuova e presso il cascinotto di Luigi Fossati; a Cernusco sul Naviglio presso cascina Fornace; a Brugherio presso le cascine Modesta, Baraggia, Sant’Ambrogio, Moia, Increa e Pobbia. I gruppi partigiani d’ispirazione cattolica si riunivano solitamente presso gli Oratori, gli Istituti religiosi o presso l’abitazione di sacerdoti antifascisti, quali ad esempio don Secondo Marelli a Cernusco sul Naviglio e don Luigi Carcano a Vimodrone.


Mentre l’Italia veniva occupata dalle divisioni tedesche e il fascismo rinasceva con la Repubblica Sociale Italiana (RSI), i gruppi partigiani si moltiplicavano e si rafforzavano. Iniziava, così, un periodo di lotta durissima, nel quale l’aspetto più drammatico era «la lotta armata fra gli italiani, fra resistenti e coloro che hanno accettato di collaborare con il governo fascista di Salò (…) La lotta si sviluppa in una lunga serie di violenze, di atrocità  e di sofferenze».

 

I particolari caratteri della guerra partigiana erano il colpo di mano, il sabotaggio, lo scontro rapido, che esigevano grande agilità di raggruppamenti. Sulla montagna operavano le brigate (composte al massimo di trecento uomini), che si raccoglievano poi in divisioni. Nella pianura e nelle città  operavano le SAP (Squadre di Azione Patriottica) e i GAP (Gruppi di Azione Patriottica). Le SAP agivano soprattutto per fare propaganda antifascista (affissione di manifestini, volantinaggi, scritte murali, comizi volanti), per procurarsi armi, per compiere sabotaggi alle strutture produttive e alle infrastrutture, per tendere imboscate alle autocolonne nemiche. I GAP erano gruppi di ardimentosi, composti ognuno di tre-quattro uomini che vivevano isolati in una clandestinità  assoluta. Eliminavano capi fascisti e ufficiali tedeschi, e sabotavano i gangli vitali della macchina da guerra hitleriana.

 

I primi gruppi partigiani della Martesana, nell’autunno-inverno del 1943-44, si limitarono all’organizzazione e a interventi di propaganda e recupero armi. Un po’ ovunque nei principali centri della nostra zona vi furono notturne scritte murali e affissioni di manifestini (prevalentemente nei pressi dei negozi e delle chiese), diffusione di stampa clandestina, recupero di armi e munizioni in depositi abbandonati dai soldati italiani all’indomani dell’8 settembre.

 

A Brugherio, ad esempio, un gruppo di giovani che era riuscito a impadronirsi di numerose armi abbandonate dai soldati (custodite nello scantinato delle scuole Sciviero) veniva individuato: Norge Pirola ed Egisto Beretta venivano arrestati, seviziati e incarcerati; Nando Mandelli, Osvaldo Manperti, Ermenegildo Garanzini, Aldo Meani e Giuseppe Radaelli si rifugiavano sul Monte San Martino, in Valcuvia, con il gruppo partigiano “Cinque giornate di Milano”, al comando del colonnello Carlo Croce. Altri giovani del paese si diedero alla macchia.

 

A Cologno Monzese, i partigiani, con incursioni a piccoli gruppi, si recavano allo scalo ferroviario di Segrate per svaligiare i carri merci diretti in Germania. La rappresaglia nei loro confronti scattò in seguito alla delazione di una spia. La mattina del 5 gennaio 1944 tutte le strade di Cologno furono presidiate da fascisti armati. Alcuni giovani vennero arrestati; Edoardo Sartori, che non aveva sentito l’intimazione dell’«alt!»,venne falciato da una raffica di mitra, e una donna, Carolina Mosca, che si stava recando dal panettiere, fu incidentalmente colpita da un proiettile vagante.

 

A Vimercate, alcuni giovani ex militari, muniti di una macchina per scrivere, cominciarono a redigere manifestini che affiggevano di notte, e a recuperare armi per difendersi dalle ronde fasciste che, inferocite, cercavano i responsabili di quelle affissioni. Il gruppo era costituito da Carlo Levati, Aldo Motta, Pierino Colombo, Luigi Ronchi, Emilio Cereda, Renato Pellegatta, Mario ed Erminio Carzaniga.

 

Giovani partigiani di Vimercate. In piedi da sinistra: Emilio Diligenti, Aldo Diligenti, Carlo Levati, Luigi Ronchi, Aldo Motta, Emilio Cereda. Seduti: Pierino Colombo, Iginio Rota, Renato Pellegatta.

 

All’inizio del 1944, il gruppo venne potenziato con l’inserimento di Iginio Rota “Acciaio”, uomo d’azione che faceva parte della rete organizzativa del PCI. Così ha raccontato Carlo Lavati, unico sopravvissuto di quel gruppo: «Dopo l’8 settembre del 1943 ho fatto il partigiano. Io e alcuni amici di Vimercate, guidati da Iginio Rota, riuscimmo a gettare le basi del primo distaccamento della 103a brigata Garibaldi. La mia prima azione di partigiano fu un recupero di armi con una botte del pozzo nero dei contadini. Da Vimercate partimmo per recuperare queste armi dirigendoci a Sant’Albino, vicino a Monza. Eravamo un gruppo di undici persone e riuscimmo a recuperare un bel po’ di armi. Di notte affiggevamo volantini davanti ai negozi dei fornai, vicino alle chiese, in tutti i punti dei paesi dove la gente poteva leggerli il mattino presto. In quei volantini si informava che noi partigiani ci eravamo organizzati per condurre una lotta armata contro l’invasore tedesco e contro il nuovo fascismo della Repubblica Sociale di Salò».