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Lino Penati

Lino Penati nasce a Cernusco sul Naviglio il 4 agosto 1923. Uomo di grande cultura, alla caduta del regime, nel luglio 1943, partecipa, con altri appartenenti alle Brigate del Popolo, agli incontri che si tengono presso la casa di don Secondo Marelli. Dopo l’8 settembre è uno dei protagonisti del disarmo di diverse casermette tra Cernusco e Brugherio, dove vengono recuperate ingenti quantità di armi.
Il 26 aprile 1944 viene arrestato e rinchiuso a San Vittore. Rilasciato il 10 giugno, si dà alla clandestinità e si unisce alle brigate partigiane, con vari compiti: requisisce armi e le trasporta ai partigiani dell’Oltrepò pavese, fa la staffetta tra le varie formazioni, tiene i collegamenti con gli Alleati e dà riparo a ebrei. Parte del gruppo in cui opera viene fatto prigioniero e fucilato a Fossoli. Lino rientra a Cernusco alla fine di aprile del 1945 e partecipa alla resa dapprima dei presidi militari tedeschi di Liscate e successivamente di quelli di Monza. Per le azioni svolte, gli Alleati riconoscono a Penati il diploma di Partigiano Combattente, nonché vari attestati al merito.
Franco Salamini

lino penati nel 1945 Lino Penati 1945

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Biografia [.pdf]

Virginio Oriani

Nato a Cernusco sul Naviglio il 5 giugno 1927
Morto il 22 aprile 
1945 a Ebensee

virginio oriani

Virginio Oriani fu arrestato a Cernusco il 18 dicembre 1943, quando aveva appena 16 anni, e, con altri cinque cernuschesi, fu portato nel carcere di San Vittore, dove trascorse tutto l’inverno. In primavera fu tradotto in Germania, dapprima nel campo di Mauthausen e quindi in quello di Ebensee, dove trovò la morte a soli 17 anni.
Di lui rimangono solo frammentari e commossi ricordi di un suo compagno di prigionia, Roberto Camerani, che, con le sue dolci e strazianti parole, lo ha strappato all’oblio.
Da Il viaggio (1983)
«Il più giovane di noi, Virginio Oriani, aveva 16 anni ed è morto poi nel campo di sterminio di Ebensee» (pag. 31).
Ricordi dalle conversazioni che Ernestina Galimberti ha avuto con Roberto Camerani a proposito di Virginio Oriani.
«Quando l’hanno arrestato, aveva ancora in tasca le biglie per giocare, era proprio ancora un ragazzino… aveva 15 anni».
«È morto perché non riusciva a resistere e fare le scelte giuste.
Pur di avere una sigaretta, lui cedeva la sua zuppa o una fetta di pane. Io glielo dicevo che era più importante mangiare, ma lui non ce la faceva».
«L’ho visto quando, ormai moribondo, l’hanno portato al crematorio…».

Da un articolo tratto da una rivista cernuschese, senza data, forse degli anni Settanta, a firma di Roberto Camerani. Il titolo dell’articolo è Misconosciuti e si riferisce a Virginio Oriani e Pierino Colombo.
«[…] Così vidi una sera l’Oriani portato sulle spalle di due miei compagni di lavoro, che la Morte lo stava liberando da tutte le sofferenze terrene. Gli occhi suoi vitrei mi fissarono e tre sole parole dischiusero le sue labbra: “Salutami la mamma”.
Così passò e di lui non mi resta ora che quella triste immagine incancellabile.
Il suo corpo fu arso nel Crematorio e le sue ceneri giacciono ora sul fondo del fiume che scorre schiumante a valle. […]»

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Biografia [.pdf]

Mattavelli Luigi
Luigi Mattavelli

Luigi Mattavelli nasce a Cernusco sul Naviglio il 9 febbraio 1924. Fa parte della 11a Brigata Matteotti. Ferito nell’azione compiuta con Cesare Riboldi, in cui i due tentano di disarmare un maresciallo delle Brigate Nere, che reagisce sparando con una pistola nascosta, muore due giorni dopo all’ospedale di Gorgonzola. Il suo funerale si tiene il 28 aprile, pochi giorni dopo la Liberazione di Cernusco, con gli onori della Brigata a cui apparteneva.
Franco Salamini

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Biografia [.pdf]

don Secondo Marelli

Un prete in mezzo ai giovani

Don Secondo Marelli occupa un posto importante nella storia della Resistenza cernuschese. Infatti questo sacerdote, dall’estate del 1941 fino alla fine del 1943, fu responsabile dell’oratorio maschile e assistente, dal 1942 al 1943, dell’Associazione Giovani di Azione Cattolica “Constantes” di Cernusco sul Naviglio. Al suo primo incarico, appena uscito dal seminario, con la sua figura carismatica e piena di entusiasmo seppe catalizzare i giovani di allora promuovendo all’interno dell’oratorio non solo una naturale e fondamentale formazione religiosa, ma anche e soprattutto favorendo incontri e approfondimenti sulla situazione sociale e civile del Paese. Scelta che implicava non pochi rischi. Don Secondo diede talmente fastidio al regime fascista di quel tempo che dovette frettolosamente scappare la mattina del 1° gennaio 1944: la milizia fascista andò a cercarlo a casa sua, ma venne depistata e dirottata al Santuario di Santa Maria, adducendo la scusa che stesse celebrando una messa. Don Secondo invece, recuperata una bicicletta dai Frigerio di via Briantea, si diresse velocemente in cerca di rifugio a Carugate da don Giuseppe Mariani, altro sacerdote che aveva collegamenti con la Resistenza locale e milanese. L’abitazione di don Secondo venne perlustrata dai repubblichini in cerca di qualche compromettente documento, ma la lista dei partigiani era al sicuro con don Secondo, che nello stesso pomeriggio venne accompagnato dal carugatese Giuseppe Erba in Brianza fino a Cantù per essere ospitato da alcuni parenti.

Un clima difficile

Nella diretta testimonianza riportata dall’opuscolo edito in occasione dei primi 50 anni della Gioventù Cattolica Constantes si può meglio capire e contestualizzare il clima di quegli anni difficili anche per la nostra cittadina, dove gli spazi per l’educazione religiosa, non in linea con il regime, venivano requisiti per altri scopi.

A sinistra:effigie di don Secondo Marelli
A destra: retro dell’effigie di don Secondo Marelli

Le adunanze clandestine si tenevano nello studio dell’assistente, don Secondo Marelli.

Non si aveva però la relazione con alcuno. Non si era legati a nessuno. Così ci colse il 25 luglio del ’43.
La sera stessa però il gruppo composto dall’allora rag. Mario Pirola, da Luigi Moraschini, Angelo Manzoni, Carlo Trabattoni, Mario Andreoni e Franco Brambilla Pisoni, si radunò per decidere il da farsi nella circostanza. Ne uscì il seguente ordine del giorno:
1. Italia libera – combattere ogni assolutismo (nero o rosso);
2. Italia forte – quindi stare uniti al governo;
3. Propagandare l’idea di una Italia repubblicana (su questo punto però non c’era accordo);
4. Formare un gruppo d’Azione per sostenere il pensiero cattolico ed affiancare le autorità nel mantenere l’ordine;
5. Metterci in relazione coi dirigenti del partito che avesse programma cristiano.
Però il cielo italiano era ancora troppo oscuro. Le libertà tanto invocate non venivano concesse.
I bombardamenti sulla città aumentavano, creando sempre più confusione e paura tra la popolazione.
Intanto l’Oratorio di Via Briantea veniva requisito dalle autorità militari per collocarvi il comando della 25a legione antiaerea. Così veniva sottratto l’ultimo luogo per le nostre riunioni generali. La Sacer infatti era già stata ceduta agli sfollati di Milano.

Impressioni dal “diario di un socio”

Sempre sullo stesso opuscolo Vittorio Melzi, in un articolo intitolato”diario di un socio”, scrive queste poche righe per ricordare il primo incontro con questo prete ambrosiano.

1941 – “Caro militare, ti scrivo per farti sapere le novità che accadono al nostro paese durante la tua assenza”: così incominciavano le lettere ai soci che vestivano il grigio-verde. Non mi era eccessivamente simpatico quel prete arrivato nuovo dal Seminario, ma in seguito dovetti ricredermi: era don Secondo Marelli.
Era decisamente una bella usanza che teneva informati ed in contatto i giovani durante il servizio militare, facendo sentir loro vicino l’affetto degli amici e del paese lontano…

1942 – La guerra continuava, si lasciò il vecchio Oratorio per la Sacer, ritornava mio fratello dalla Grecia e don Secondo mi aggiustava un ceffone richiamandomi al dovere e all’ordine.

1943 – La guerra continuava, un altro mio fratello partiva per il militare, altri giovani lasciavano le loro case per servire la Patria. Nelle serate estive si andava nelle cascine, capitanati da don Secondo, a recitare il S. Rosario. Ricordo la sera che andammo, accolti cordialmente dalla popolazione, al Gaggiolo. Il giorno dopo in Italia avvenne quello che fu il 25 luglio 1943.
Settembre – Gita al Pizzo dei Tre Signori. Era la prima volta che calzavo gli scarponi di montagna, felice di partecipare a quella ascensione. Tre giorni dopo, l’armistizio.
Il coprifuoco vigeva in Italia, le adunanze vennero sospese, alla sera non si poteva uscire: con grande dolore non potemmo più andare in casa del nostro Assistente don Secondo.

1944 – Si incomincia il nuovo anno con una S. Comunione di gruppo. Mentre si faceva il ringraziamento si avvicinò Mons. Luigi Ghezzi e m’invitò a togliermi la sciarpa rossa che avevo al collo. Il perchè di certe precauzioni non tardai a capirlo. Don Secondo dovette fuggire, la sua casa era piantonata. Sincera sgorgò dal mio cuore una preghiera: “O Signore salvalo dai pericoli!”

Una guida anche organizzativa

Sempre sullo stesso opuscolo Felice Frigerio, ex comandante militare della 26a Brigata del Popolo, ricorda il ruolo, forse più nascosto e riservato, di questo sacerdote.

É difficile stabilire il giorno di nascita del Movimento Partigiano a Cernusco, certo è che subito dopo l’8 settembre 1943 alcuni giovani guidati da don Secondo Marelli riuscirono ad asportare e nascondere armi di appartenenza ad una disciolta unità militare con sede nell’Oratorio maschile del paese.
É proprio di quei primi giorni l’affissione di manifesti manoscritti antitedeschi.
Ai primi di novembre si incomincia a pensare al movimento e in quella casa sempre aperta di don Secondo si tengono riunioni a sfondo politico e militare e si predispone un piano di disturbo alle azioni di nazi-fascisti; sono i giovani della Constantes e dell’Oratorio che alla preghiera fanno seguire l’azione e il sacrificio. Si inizia una propaganda spicciola appoggiata dalla distribuzione clandestina di volantini dattiloscritti.
Ma il 1° gennaio 1944 don Secondo viene ricercato e costretto ad eclissarsi. Naturalmente i giovani rimangono senza guida e l’attività viene rallentata anche per non dare ulteriori sospetti.

Don Secondo Marelli non fu quindi presente nella decisiva giornata della Liberazione, il 26 aprile a Cernusco, ma siamo certi che in molti l’avranno ricordato in quei momenti nella difficoltà e nella gioia per la resa del presidio militare tedesco!
Maurilio Frigerio

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Biografia [.pdf]

Vittorio “Ivo” Galeone

Vittorio Galeone nasce a Diso, in provincia di Lecce, il 3 settembre del 1922. A 17 anni emigra a Torino, dove lavora come calzolaio. Nel 1942 viene chiamato alle armi e addestrato per essere inviato al fronte. Ma Vittorio ripudia la guerra e fa di tutto per non prendervi parte. Il suo comportamento provocatorio gli vale persino una condanna a dieci mesi di condizionale per insubordinazione e gravi ingiurie da parte del Tribunale Straordinario di Guerra. Tornato dal fronte nel 1943 per deperimento organico, partecipa agli scioperi e alle manifestazioni della Torino operaia. Dopo l’8 settembre 1943, si unisce ai partigiani comunisti Stella Rossa, entrando quindi a far parte dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica) torinesi, dove conosce Giovanni Pesce (“Ivaldi”), comandante militare. Ma la permanenza di Vittorio nei GAP è di breve durata: poco dopo la sua prima azione, viene arrestato, per colpa di una spia, e internato alle Nuove per sei mesi. Uscito di carcere nell’agosto del 1944, si dà alla fuga, raggiunge il Canavese e si unisce ai partigiani della 77a Brigata Garibaldi “Titala” con il nome di battaglia di “Brusky”. Su quelle colline Vittorio combatte strenuamente contro i nazifascisti e si fa onore. Torna quindi a Torino e, con Erasmo Tosi e Piero Passoni, cerca di riorganizzare una Brigata Matteotti, ma per lui la città è ormai terra bruciata. Fugge quindi a Milano, dove, con il nuovo nome di battaglia di “Ivo”, prende contatto con le Brigate Matteotti che operano a Monza, Abbiategrasso, Cernusco sul Naviglio. A Cernusco, in particolare, conosce Alfredo Rurale, responsabile dell’11a Brigata Matteotti, della quale Vittorio assume il comando.

Tessera di riconoscimento rilasciata dal Comando Formazioni “Matteotti” a Vittorio Galeone

“Ivo” si distingue per la sua capacità di comando, per il sangue freddo e per il coraggio che dimostra nelle azioni armate. In una di queste, a Milano, viene ferito gravemente a un braccio. Pur continuando a operare nel capoluogo, deve ritirarsi a Cernusco e Pioltello. A Cernusco viene ospitato a casa dei Rurale, in via Battisti, e quindi dei Riboldi, in via Monza. Poi si trasferisce alla cascina Arzona di Pioltello, in casa dei Piccoli. Galeone, insieme ai comandanti delle altre Brigate partigiane, è protagonista della resa del comando tedesco di Cernusco il 26 aprile del 1945. Successivamente si unisce al distaccamento di Pioltello e forma la colonna di automezzi e mezzi blindati requisiti ai tedeschi, che raggiungerà Milano.
L’importanza di Galeone, grande protagonista della Resistenza della Martesana, travalica ampiamente i confini locali.
Vittorio Galeone è scomparso nel 1999.

(le notizie sono state tratte da Col cuore in gola, di Giorgio Perego)

Per un approfondimento sulla figura di Vittorio “Ivo” Galeone, rimandiamo a:
Vittorio Galeone, Ricordi partigiani – Con un quadro storico su «La Resistenza nell’est milanese» di Giorgio Perego, Bine Editore, Cernusco sul Naviglio 1985

Materiale disponibile

Biografia [.pdf]

Documenti [.pdf]

Felice Frigerio

Comandante partigiano della 26a Brigata del Popolo

Felice Frigerio nasce a Cernusco sul Naviglio il 14 novembre 1920 da Virginia Amalia Vismara e Attilio Frigerio in via Tizzoni, nella “Curt di Frigè” o di “Cumarin” (l’attuale numero civico 25). Primo di quattro fratelli e tre sorelle, nell’ordine: Felice (1920), Giulia (1922), Egidio (1926), Regina (1928), Antonio (1930), Mario (1933), Luigia (1937). Da bambino impara a leggere, scrivere, far di conto e… disegnare nelle scuole di Cernusco. Date le attitudini artistiche ha poi frequentato la Scuola d’Arte Sacra “Beato Angelico” a Milano ed il Corso di pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera, diplomandosi nel 1944 alla scuola di Achille Funi.

felice frigerio

Vita associativa

Partecipa come molti giovani della sua generazione alla vita dell’oratorio, iscritto alla Associazione di Azione Cattolica “Constantes”, segue prima da ragazzo e poi come educatore la formazione di molti altri giovani. Le doti artistiche lo fanno promotore di numerose iniziative anche nel campo teatrale nella Filodrammatica dell’oratorio dove, oltre a recitare, disegna e dipinge le scenografie degli spettacoli rappresentati sul palco di Via Briantea 21. La passione per la montagna lo porta ad essere tra i primi giovani iscritti al Centro Alpinistico Italiano nella sezione di Milano (tessera del 1942). Poi nel CAI di Cernusco è stato socio fondatore e presente, come consigliere, nei primi anni di vita dell’associazione.

Servizio Militare

Dichiarato “temporaneamente inabile al servizio militare per debolezza di costituzione” dal Consiglio di leva di Milano nella seduta del 20 maggio 1939, viene rimandato rivedibile alla leva della classe 1921. Si presenta a Gorgonzola, nel Palazzo Comunale, il 27 maggio 1940 innanzi alla Commissione mobile di leva, con notifica del Podestà del Comune di Cernusco sul Naviglio il 5 aprile 1940.
Alcune tappe del servizio militare:
Prima destinazione nel giugno 1941 a Catanzaro.
Seconda destinazione nell’ottobre 1942, a Napoli alla Scuola AUC (Corso Allievi Ufficiali)
Caserta 17 giugno 1943 – Dichiarazione di servizio: “Chiamato alle armi il 10 gennaio 1943 per compiere il prescritto servizio di prima nomina, tuttora presta servizio presso il IV Battaglione Istruzioni in Trento”.

Militanza partigiana

Dopo l’8 settembre del 1943 a Felice Frigerio, tenente dell’esercito, veniva affidato il compito di organizzare e coordinare il movimento clandestino militare a Cernusco, reclutando tra i giovani oratoriani dell’Azione Cattolica elementi sicuri.
Viene nominato comandante militare della 26a Brigata del Popolo, collaborando con le brigate partigiane dei paesi vicini.
Iniziano in quei periodi i primi contatti, sempre clandestini, con i rappresentanti politici milanesi della Democrazia Cristiana. Si agiva sempre in stretto contatto con l’assistente dell’oratorio, don Secondo Marelli, con il parroco, Monsignor Claudio Guidali, e con il dottor Mario Pirola, ispiratore politico del movimento partigiano cernuschese.
Ha partecipato alla trattativa per la resa del presidio tedesco presente a Cernusco asserragliato nel Palazzo Tizzoni (l’attuale numero civico 11 di Piazza Matteotti) il 26 aprile del 1945 ed al disarmo della pesante mitragliera che controllava la piazza.

Trascrizione SCHEDA PARTIGIANA
(da un documento ritrovato tra i “vecchi appunti”)

Frigerio Felice di Attilio e Vismara Virginia
Nato a Cernusco s/Nav. 14-11-1920
Indirizzo Via Briantea 13
Pittore
Accademia di Brera Milano
Sotto tenente fanteria motorizzata.
Periodo interessato: settembre 1943 – maggio 1945
Formazione 26a Brigata
Lancio bombe a tradotta tedesca Limito, Vignate (notte 14-4-44) sottratto armi a casermette fasciste (Segrate, Brugherio) e reaz. Contro i nemici, scontro con milite GUR (Guardia repubblichina) Brugherio inverno 1943.
Azioni svolte con partigiani Penati, De Stefani, Brambilla Pisoni Franco.
Recupero armi (settembre 43), lancio ferri antipneumatici da sabotaggio (autostrada Agrate a più riprese).
Formato distaccamento a Bussero, Vimodrone, Cambiago, Carugate, Gorgonzola, Pessano e distribuzione sistematica propaganda antifascista.
Tutte le azioni armate della brigata.
Comandante della brigata
La scheda riporta come “redattori” tre nominativi:
Vice Com. Penati Pasquale, Dott. Pirola Mario, De Stefani Antonio

Vita politica

Iscritto fin dal dopoguerra alla Democrazia Cristiana, prese parte attiva alla vita della sezione cernuschese contribuendo alla rinascita della nostra cittadina.
Venne eletto consigliere comunale per più legislature, ricoprendo il ruolo di Assessore ai Lavori Pubblici dal 1964 al 1970 nella giunta comunale presieduta dall’allora sindaco Prof. Carlo Trabattoni.

La Pittura

Forse le tracce più significative e durature della sua opera sono tuttora riscontrabili nei numerosi quadri dipinti ad olio su tela che ripropongono vecchie inquadrature dell’amata Cernusco, fiori, nature morte, paesaggi.

bozzetto a carboncino
Bozzetto a carboncino

Su alcuni muri del paese sono ancora visibili affreschi a tema religioso di santi o madonne che hanno “protetto” Cernusco e la sua gente (Piazza Matteotti: L’Assunta e la storia del paese; Viale Assunta: Madonna del tram; Via Cavour: Santa Teresa; Cappella del cimitero: Crocifissione; Strada Padana Superiore: Madonnina)
Felice Frigerio, all’età di 79 anni, muore improvvisamente il 15 gennaio del 2000… all’inizio di un nuovo millennio al quale guardava con speranzosa fiducia.
A cura di Maurilio Frigerio

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Biografia [.pdf]

Antonio De Stefani

Un partigiano in bicicletta

Figlio di una numerosa famiglia di contadini, nato a cascina Ronco il primo giorno di settembre del 1912, lavorava alla Breda fucine di Sesto San Giovanni e per questo tipo di lavoro (produzione di materiale bellico) era stato esonerato dal servizio militare. La bicicletta è stata la sua compagna di vita: per quarant’anni, ogni giorno, l’ha utilizzata per recarsi al lavoro, ma anche per raggiungere mete turistiche. Antifascista convinto, ha sempre rifiutato il regime e appena si sono organizzate le formazioni partigiane vi ha subito aderito partecipando attivamente alle azioni organizzate nella zona insieme a Lino Penati che abitava nello stesso cortile (vedi Trascrizione SCHEDA PARTIGIANA, appunti di Felice Frigerio).

A sinistra: Antonio De Stefani
A destra: Antonio De Stefani durante un’azione partigiana

La bicicletta lo ha accompagnato anche nella lotta partigiana: ci ha raccontato che con la sua bici partiva da via Tizzoni, dalla “Curt di Frigè” o di “Cumarin”, sistemava le armi avvolte in un sacco arrotolato intorno alla canna dove faceva sedere il piccolo figlio Francesco e facendo credere di andare a trovare i nonni a Ronco, portava il pericoloso carico nella cascina. Qui le armi, che sarebbero servite il giorno dell’insurrezione, venivano ben nascoste. Era un sistema per evitare le facili perquisizioni che avvenivano anche su segnalazione di simpatizzanti fascisti.
Schivo e riservato, non è stato facile raccogliere da lui testimonianze dirette, anche perché, nel suo modo di pensare, era naturale battersi contro chi, utilizzando la forza e la repressione, cancellava ogni giustizia e libertà.

Famiglia De Stefani
Cernusco sul Naviglio, aprile 2010

Trascrizione SCHEDA PARTIGIANA
(da un documento ritrovato tra i “vecchi appunti”)

Frigerio Felice di Attilio e Vismara Virginia
Nato a Cernusco s/Nav. 14-11-1920
Indirizzo Via Briantea 13
Pittore
Accademia di Brera Milano
Sotto tenente fanteria motorizzata.
Periodo interessato: settembre 1943 – maggio 1945
Formazione 26a Brigata
Lancio bombe a tradotta tedesca Limito, Vignate (notte 14-4-44) sottratto armi a casermette fasciste (Segrate, Brugherio) e reaz. Contro i nemici, scontro con milite GUR (Guardia repubblichina) Brugherio inverno 1943.
Azioni svolte con partigiani Penati, De Stefani, Brambilla Pisoni Franco.
Recupero armi (settembre 43), lancio ferri antipneumatici da sabotaggio (autostrada Agrate a più riprese).
Formato distaccamento a Bussero, Vimodrone, Cambiago, Carugate, Gorgonzola, Pessano e distribuzione sistematica propaganda antifascista.
Tutte le azioni armate della brigata.
Comandante della brigata
La scheda riporta come “redattori” tre nominativi:
Vice Com. Penati Pasquale, Dott. Pirola Mario, De Stefani Antonio

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Giuseppe Comi

Una vita, un partigiano

Noi che eravamo cresciuti prima come Balilla poi come Avanguardisti, sentire parlare di libertà, di democrazia… per noi è stato un sogno

G.Comi

Giuseppe Comi è nato a Vimodrone il 15 novembre 1924 da famiglia cernuschese, che ritornerà a Cernusco dopo solo un anno. Comincia a lavorare giovanissimo, a 14 anni, prima nella Gloria Cicli, e successivamente nell’Olimpia Cicli, entrambe fabbriche di Milano. Proprio l’esperienza lavorativa e gli incontri con alcuni esponenti del mondo antifascista milanese fanno maturare in Giuseppe la coscienza di ribellione al fascismo e la volontà di opporsi ad un regime totalitario e oppressivo. Già sul finale del 1942, diciottenne, è attivo in una cellula anarchica milanese sul piano della propaganda, attraverso volantinaggi davanti alle fabbriche e alle caserme, invitando militari e operai a disertare la guerra, la guerra del fascismo. Azioni temerarie e rischiose, fatte di rapidi incontri, scambi di materiale, a volte in tram e spesso in bicicletta, dimostrando grande prova di coraggio e destrezza, che saranno elementi fondamentali nella sua esperienza di partigiano. Nel frattempo viene chiamato militare a Tolmino, nell’alto bacino dell’Isonzo; dopo l’8 settembre riesce a scappare, e con un rocambolesco viaggio a piedi durato otto giorni ritorna a Cernusco.

comi

Giuseppe Comi

Per evitare di andare a militare sotto i fascisti, Giuseppe e altri suoi compagni decidono di andare a lavorare per la TODT, sulla costa ligure vicino a Sanremo. Qui, prendendo contatti con alcuni nuclei partigiani liguri, ha inizio la sua vita da partigiano, attraverso una serie d’azioni di sabotaggio al lavoro affidatogli (costruzione di una sorta di sbarramento che avrebbe dovuto impedire eventuali sbarchi degli Alleati), ed una serie di contatti e passaggi di informazioni a militari inglesi. Dopo una probabile soffiata di una spia, e qualche arresto di alcuni lavoratori della TODT, Giuseppe e gli altri suoi compagni decidono di scappare nel timore di essere deportati in Germania, e dopo l’ennesimo viaggio ritorna a Cernusco. Nel maggio 1944 partecipa alla costituzione della 105ª Brigata Garibaldi SAP VII Distaccamento, Divisione Fiume d’Adda. Fino alla Liberazione Giuseppe è attivissimo nelle operazioni di resistenza, partecipando in prima persona ad azioni fondamentali, non solo a Cernusco, ma anche a Milano e addirittura nel Nord Italia, come l’assalto al Carcere degli Scalzi a Verona il 17 luglio 1944 per la liberazione del sindacalista Roveda, episodio importante della Resistenza italiana, ancora oggi celebrato nella cittadina scaligera. Tra le tante azioni in cui Giuseppe è stato protagonista va ricordato tra l’altro l’assalto al comando tedesco a Caponago, con la distruzione di una radio da campo, che avrebbe dovuto dare l’ordine di far saltare gli stabilimenti minati di Sesto San Giovanni, per coprire la fuga dell’esercito tedesco. Inoltre vanno ricordati anche i comizi volanti nei cinema milanesi e l’assalto alla stazione di Lambrate, per fermare e distruggere i treni con i rifornimenti d’armi per i tedeschi. La vita non era facile e i rischi altissimi, come lui stesso ci ricorda: “qui si facevano delle azioni mirate, erano guerriglia, imboscate, tradimenti… una guerriglia che non guardava in faccia nessuno, o me o te…”. Anche a Cernusco l’attività di Resistenza prosegue e non si ferma, non solo nei sabotaggi e nelle azioni, ma anche nell’appoggio ai renitenti alla leva, con l’aiuto economico alle famiglie. I luoghi di ritrovo dei partigiani cernuschesi sono la Cascina Fornace, dove vengono nascoste le armi, l’Osteria di Giovanni Sirtori (“Giuanin”), tra via Bourdillon e Piazza Gavazzi, e l’Osteria del Tavola, in piazza Matteotti, di fianco al comando dei carabinieri, dove si tengono le riunioni clandestine. Le numerose azioni per contrastare tedeschi e fascisti contribuiranno alla liberazione di Cernusco, evento in cui Giuseppe parteciperà sempre da protagonista, con il famoso ingresso in Piazza Matteotti con il carro armato rubato ad una colonna di fascisti in fuga per la Germania, decisivo per far arrendere i tedeschi. Anche l’amore di Giuseppe è legato alla Resistenza: dopo la guerra sposerà Maria Codazzi, coraggiosa staffetta partigiana e sorella del partigiano e amico Giovanni Codazzi. Dopo la Liberazione Giuseppe parte per il militare, e per breve tempo sarà segretario della locale sezione del Partito Comunista. Negli anni successivi sarà sempre impegnato politicamente, prima con il PCI e dopo con l’ANPI di Cernusco, di cui diventerà Presidente Onorario. Per vari anni Giuseppe e la famiglia vivranno lontani da Cernusco, a Sabaudia, nella splendida cornice del Parco del Circeo, inoltre una spiccata curiosità e alcuni eventi familiari gli permettono anche di fare numerosi viaggi, che contribuiscono a formare una visione aperta e tollerante verso le altre culture. Ma il maggior impegno di Giuseppe è stato la volontà di dialogo, relazione e incontro con le nuove generazioni, mostrando una grande e affascinante capacità di racconto e trasmissione dei valori e fatti della Resistenza, sempre con una certa delicatezza e dolcezza. Un narratore capace prima di tutto di ascoltare e comprendere anche i cambiamenti e le istanze di una società in trasformazione. Oggi, ironia della sorte, Giuseppe vive a Berlino, e anche dalla capitale tedesca non ha mai smesso di pensare e sognare un mondo migliore.
Radaelli Danilo

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Biografia [.pdf]

La fotografia, un racconto partigiano [.pdf]

Maria Codazzi

Maria Codazzi è nata nella bassa lodigiana il 28 febbraio 1926. Il padre Luigi è stalliere e analfabeta. La mamma Elisa, figlia di ignoti, è allevata a Milano dalle suore fino all’età del matrimonio. Maria ha tre fratelli: Gianni, Pino e Romano. La famiglia, come si usava allora, alla scadenza di San Martino (11 novembre) condizionata dai contratti di lavoro del papà Luigi, si trasferisce da una cascina all’altra fino ad arrivare, alla vigilia della seconda guerra mondiale, alla cascina Bareggiate nel comune di Pioltello. La vita contadina è caratterizzata dalla povertà e dalla fame. Finita la terza elementare, Maria, di corporatura particolarmente robusta, interrompe la scuola per aiutare la mamma Elisa nei lavori domestici e la comunità contadina nei lavori dei campi. Il papà, reduce della prima guerra mondiale, ha un carattere irascibile che gli procura spesso dei guai. A due gerarchi locali che si presentano alla cascina Bareggiate per confiscare beni naturali per le casse del partito fascista, Luigi si fa incontro con un falcetto con la ferma intenzione di tagliare loro la testa. Solo l’intervento degli altri contadini e del fattore evita la tragedia e la denuncia. Occupata dagli inglesi durante la guerra, la cascina diventa alloggio degli ufficiali che sequestrano allo scopo i piani terreni degli alloggi dei contadini. Giunto il tramonto, Luigi trasporta le gabbie dei conigli, le galline e il maiale in casa così da provocare la rinuncia degli ufficiali a dormire nei suoi locali. Il fratello Pino, entrato nell’arma dei carabinieri, ritarda il rientro da una licenza di alcuni giorni a causa di un incidente e, con l’accusa di diserzione, è internato in un campo di lavoro forzato in Germania. In questo clima è il fratello Gianni, muratore, che per primo si unisce alla lotta partigiana. A Cernusco si unisce alla 105a Brigata Garibaldi SAP, VII distaccamento Fiume Adda guidato da Giovanni Vanoli e dove è già attivo Giuseppe Comi, operaio e disertore dell’8 settembre. Maria intanto è assunta come operaia alla Caproni di Taliedo, industria bellica e costruttrice di aerei. Il controllo delle industrie del gruppo passa in mano ai tedeschi e la produzione finalizzata alle necessità belliche del Terzo Reich. Ciònonostante, all’interno degli stabilimenti si sviluppa una consistente azione resistenziale da parte di operai, impiegati e tecnici antifascisti, che organizzano l’attività clandestina con azioni di sabotaggio della produzione, con recupero di armi e viveri da inviare alle formazioni partigiane. Questa circostanza e l’attività del fratello Gianni portano Maria a far parte attiva della lotta partigiana, durante la quale partecipa a numerose e particolarmente pericolose azioni, spesso accompagnata dal partigiano Giuseppe Comi che, finita la guerra, sposerà.
Donna sempre molto attiva e preoccupata di dare ai figli, Carlo e Stefano, un futuro migliore, Maria compra con la cognata Rita, moglie del fratello Romano, una macchina da cucire per arrotondare con piccoli lavoretti lo stipendio del marito Giuseppe. Questa attività, continuata da figli e nipoti, porterà entrambe le famiglie a un discreto benessere fino a oggi. Con i figli si parla poco degli anni della guerra e della lotta partigiana. Sappiamo ovviamente che il papà e la mamma sono stati partigiani, ma la maggior parte dei dettagli delle azioni alle quali hanno partecipato li scopriremo in seguito e in gran parte grazie ai racconti di altri partigiani. Entrambi parteciperanno attivamente ma per un breve periodo alla vita politica di Cernusco, legati all’attività del partito comunista di cui Giuseppe sarà per un breve periodo segretario. Giuseppe e Maria sono però delusi dalla politica conciliatrice di Togliatti e preferiscono ritirarsi nel privato. Molti anni più tardi, Giuseppe avrà un acceso alterco col comandante partigiano Giovanni Pesce, che accuserà di aver svenduto gli ideali partigiani. Solo sporadicamente si rinnoverà l’interesse alla politica. Negli anni della contestazione giovanile, alla fine degli anni sessanta, della quale il figlio Stefano sarà un attivo protagonista, Maria e Giuseppe ritrovano lo spunto e l’interesse alla battaglia politica. Giuseppe si riavvicina all’ANPI, e, con il sostegno di Maria, tiene conferenze nelle scuole, partecipa a dibattiti ed è attivo organizzatore di eventi per la commemorazione della Liberazione. Maria, soddisfatta del benessere personale e dei figli raggiunto con molti sacrifici, continuerà a essere faro e roccia alla quale i figli e i nipoti faranno riferimento nei momenti di difficoltà e di bisogno. Colpita da una malattia inesorabile, lascia figli e marito nel settembre del 1999. Giuseppe la seguirà nel 2011 dopo aver passato gli ultimi tre anni della sua vita a Berlino, città che, paradossalmente, ha molto amato.

Stefano Comi

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La fotografia, un racconto partigiano [.pdf]

Giovanni Codazzi

Non ho mai conosciuto direttamente mio nonno Gianni, avevo 6 mesi quando è morto, improvvisamente, nel 1981. Ho solo qualche foto di quando era a militare, guardia di frontiera nel Norditalia, poi in Albania o immagini di quando festeggiava coi muratori suoi colleghi la conclusione di un tetto di una nuova casa. È stato attraverso i racconti di mio zio, Giuseppe Comi, partigiano con lui nella 105a Brigata Garibaldi SAP, che ho scoperto come, a costo di mettere a disposizione ogni giorno la propria vita, mio nonno abbia lottato per difendere gli ideali di libertà e giustizia che ancora oggi sono così fondamentali.
Anni Trenta, tempi diversi. Giovanni, nato a Pieve Fissiraga (Lodi) nel 1920, con la sua famiglia di contadini si era trasferito a Pioltello alla cascina Bareggiate, dove la vita dei campi lasciava poco tempo per lo studio e la cultura ma dove i valori veri si concretizzavano e prendevano forma ogni giorno nella fatica di vivere, nelle ingiustizie e nelle prevaricazioni subite, nelle violenze all’olio di ricino, nella mancanza di libertà di pensiero ed espressione. Un ragazzo normale di vent’anni, come tanti, lavoro duro tutta la settimana, e la domenica poche ore in balera. Poi arriva la guerra. Mio nonno lascia la cascina Bareggiate a Pioltello, viene arruolato come guardia di frontiera al confine nord-est italiano per essere poi trasferito in Albania.

A sinistra: Giovanni Codazzi (primo a sinistra) con due compagni in Albania (1942)
A destra: Giovanni Codazzi in Albania (1943)

Solo qualche riga alla mamma Elisa per dire che “tutto va bene”, per non preoccuparla, per sapere come stanno i fratelli più giovani, Giuseppe, Romano e Maria, e il papà Luigi. Nel 1943 arriva finalmente una licenza, tanto desiderata dopo anni di assenza da casa, la prima che sarà anche l’ultima, non farà più ritorno in Albania: c’è stato l’8 settembre, è stato firmato l’armistizio, la guerra è finita! O forse no. Bisogna nascondersi, i tedeschi stanno rastrellando tutta la zona. Sono in tanti come lui, molti anche più giovani, ragazzini quasi, con il desiderio di fare qualcosa per uscire da questo incubo, da questa oppressione che si fa ogni giorno più forte. Ed è con un amico, Pino, Giuseppe Comi, che ai tempi frequentava la sorella Maria, staffetta partigiana poi sua moglie, che ha inizio la militanza clandestina. Di giorno sempre all’erta, nascosto in cascina, lavorando nei campi, nel terrore di essere visto o denunciato da qualche delatore, e la sera all’opera all’interno dei comitati clandestini, col nome di battaglia di “Romano”. Il perché di quel nome, uguale a quello reale di suo fratello, non l’ho mai saputo. La mamma a casa, che non chiudeva occhio fino al mattino quando lo sentiva rientrare in bicicletta, ormai all’alba (“anche questa volta è tornato, ma fino a quando?”), preparava la colazione con quel poco che c’era e senza chiedere nulla di quello che era successo nella notte: “un sabotaggio, un attacco ai treni, scritte sui muri contro l’oppressore” cose non dette ma tradite dai vestiti strappati, sporchi, dal colore della vernice rimasta sulla manica della camicia…
“Con il cuore in gola” non è solo il titolo di un libro sui partigiani cernuschesi, ma è lo stato d’animo durato mesi, anni, fino al 25 aprile del 1945. Gli archivi della 105a sono andati distrutti, è difficile tracciare un quadro preciso delle azioni, ma i risultati sono ancora sotto gli occhi di tutti.
Il dopoguerra, la ricostruzione, finalmente, dopo tanto sperare, si può realizzare un mondo più giusto, più equo, più solidale… Si può ricominciare, si può. Gianni conosce Cherubina Lamperti, tre mesi dopo, nell’agosto del 1946, si sposa, si trasferisce a Carugate, cascina Graziosa.

A sinistra: Giovanni Codazzi (a sinistra) durante il Carnevale del 1947 alla cascina Graziosa
A destra: Giovanni Codazzi (il secondo in basso da destra) insieme a colleghi muratori (1953)

Ogni giorno si reca a Milano in bicicletta, per ricostruire le case, dalle macerie nasce nuova vita, e poi al rientro e nei momenti liberi al lavoro nei campi o ad accudire gli animali. Durissimo, per tutti. Ciò che si è vissuto intensamente, la paura, la gioia, la sete di giustizia sostengono la speranza in un modo diverso, migliore; sono sempre presenti, in ogni azione quotidiana, nei rapporti con gli altri, si fanno spazio nell’educazione dei figli Luciano e Marino, nelle associazioni sociali delle ACLI, nella perseveranza delle donazioni di sangue così preziose per l’AVIS.

Giovanni riceve il premio AVIS dal dott. Orlandi a Carugate (1970)

Non ho mai conosciuto direttamente mio nonno Gianni, ma lo ritrovo spesso in quello in cui anch’io credo, lo ritrovo quando chiedo giustizia, il rispetto dei diritti umani, quando cerco di rendere possibile una vita migliore ai bambini delle baraccopoli di Santo Domingo, quando credo che esista un modo più giusto di utilizzare le risorse del pianeta… sono passati oltre 60 anni da allora, la Resistenza ha preso altre forme, i principi ispiratori sono gli stessi.
Roberto Codazzi

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